36 Introduzione alle distribuzioni di probabilità
- comprendere il ruolo della variabilità nei fenomeni psicologici.
- Leggere l’articolo Embracing variability in the search for biological mechanisms of psychiatric illness (Segal et al., 2025).
36.1 Introduzione
Le distribuzioni di probabilità – discrete (a massa) e continue (a densità) – rappresentano un pilastro dell’analisi quantitativa. Strumenti come la distribuzione normale o binomiale non sono semplici modelli teorici, ma strutture matematiche che permettono di decodificare fenomeni dominati dalla variabilità. In psicologia, disciplina focalizzata sulla comprensione della mente e del comportamento, potrebbe apparire paradossale ricorrere a questi strumenti che sembrano lontani dai fenomeni oggetti del nostro interesse. Tuttavia, è proprio l’intrinseca variabilità dei processi psicologici a renderli indispensabili: senza modelli in grado di mappare e interpretare la variabilità, ogni generalizzazione rischia di ridursi a un’approssimazione inefficace.
Questa riflessione è ben espressa in un recente articolo di Segal et al. (2025) sui disturbi mentali. L’autore osserva come i limiti nella comprensione della loro eziologia derivino dalla sottovalutazione della variabilità. Storicamente, la ricerca in psichiatria e psicologia ha confrontato gruppi clinici con controlli sani, identificando marcatori medi (biologici o comportamentali) come tratti distintivi. Sebbene utile, questo approccio trascura un dato fondamentale: i disturbi psichiatrici, come gran parte dei fenomeni psicologici, sono caratterizzati da un’eterogeneità interindividuale estrema, incompatibile con modelli basati su medie di gruppo.
La variabilità, dunque, non è un “disturbo di fondo” da eliminare, ma un elemento informativo cruciale. Integrare questa prospettiva richiede non solo strumenti statistici avanzati, ma una riconfigurazione metodologica che ponga la diversità individuale al centro dell’indagine.
36.2 La Variabilità come Fattore Costitutivo dei Disturbi Mentali
I disturbi psichiatrici sfuggono a definizioni rigide. Persone con la stessa diagnosi mostrano profili sintomatologici radicalmente diversi: ad esempio, nel disturbo da stress post-traumatico si osservano oltre 636.000 possibili combinazioni di sintomi, mentre nella depressione più di 16.000. Uno studio discusso da Segal et al. (2025) rivela che quasi il 50% dei pazienti depressi presenta un’unica configurazione di sintomi. Questa variabilità si estende all’età di esordio, alla gravità, alla durata e alla dinamica temporale dei sintomi.
Un singolo sintomo può inoltre comparire in più disturbi, spiegando i tassi elevati di comorbilità: circa il 50% dei pazienti soddisfa criteri diagnostici multipli. Questa sovrapposizione suggerisce che i disturbi non siano entità discrete, ma manifestazioni diverse di meccanismi psicopatologici condivisi. Non a caso, il 37% dei sintomi presenti nel DSM-5 non è specifico di un singolo disturbo e, complessivamente, rappresenta il 72% di tutti i sintomi inclusi nei criteri diagnostici, evidenziando una significativa mancanza di specificità sintomatologica.
Focalizzarsi sulle medie di gruppo, tuttavia, rischia di occultare questa complessità, producendo risultati inconsistenti. Come osservato da Thomas Insel nel riepilogare il suo mandato alla guida dei National Institutes of Mental Health (NIMH) degli Stati Uniti, nonostante i consistenti investimenti in neuroscienze e genetica, i progressi nella riduzione dei suicidi, nella diminuzione dei ricoveri e nel miglioramento delle prognosi sono stati limitati.
36.3 Verso un Cambiamento di Prospettiva
Per superare queste criticità, secondo Segal et al. (2025), è necessario riconoscere la variabilità come proprietà costitutiva dei fenomeni psicologici. Ciò implica:
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Adottare approcci analitici che quantifichino la variabilità biologica e comportamentale a livello individuale, anziché di gruppo.
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Utilizzare modelli normativi per identificare deviazioni significative dalle traiettorie attese, anziché classificare soggetti in categorie rigide.
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Abbandonare l’idea di causalità univoca: una singola regione cerebrale può contribuire a sintomi multipli, così come meccanismi eterogenei possono generare lo stesso disturbo.
- Adottare framework dimensionali come l’HiTOP (Hierarchical Taxonomy of Psychopathology), che organizza i sintomi in dimensioni gerarchiche, massimizzando la cattura della variabilità fenotipica.
In questo contesto, le distribuzioni di probabilità diventano alleati indispensabili. Consentono di modellare la dispersione dei dati, identificare outlier e mappare traiettorie individuali, trasformando la variabilità da “problema” a “chiave interpretativa”. Analizzare la distribuzione di sintomi, tratti o risposte comportamentali permette di superare le medie di gruppo, consentendoci una migliore comprensione dei fenomeni psicologici.
36.4 Riflessioni Conclusive
La teoria della probabilità offre gli strumenti concettuali per navigare la complessità dei dati psicologici. Come sottolineato da Segal et al. (2025), solo integrando sistematicamente la variabilità nell’analisi empirica è possibile sviluppare modelli predittivi robusti e interventi terapeutici mirati. La sfida non è eliminare l’incertezza, ma rendere conto della variabilità attraverso modelli che riflettano la complessità dei fenomeni psicologici.
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