9  Compassione e Pensiero Non Dualistico

9.1 Introduzione

Gli esseri umani non sono soltanto suscettibili alle illusioni percettive, come quelle che riguardano la visione e l’udito, ma anche a quelle cognitive, che riguardano il modo in cui concepiscono e interpretano la realtà. Una delle intuizioni fondamentali del pensiero buddista è che queste illusioni cognitive rappresentano la radice profonda della sofferenza. Questa sofferenza, secondo il buddismo, non è intrinseca alla realtà, ma nasce dal modo in cui gli esseri umani percepiscono e interpretano erroneamente il mondo e se stessi. In particolare, l’illusione del sé come entità permanente, separata dagli altri e dotata di un’identità intrinseca e immutabile, è vista come la principale fonte di questa sofferenza.

La liberazione dalla sofferenza è considerata possibile solo attraverso l’eradicazione di tali illusioni. Il pensiero buddista non si limita a rivelare queste false credenze, ma offre anche un percorso pratico per dissolverle, che include la meditazione, la contemplazione e la trasformazione del modo in cui si esperisce la realtà. L’obiettivo non è negare l’esistenza del sé in senso assoluto, ma piuttosto comprendere che esso non esiste come entità indipendente e immutabile. Questo processo di comprensione si basa su una visione più profonda e interconnessa della realtà, che è al centro del pensiero non dualistico.

9.2 La Natura della Realtà: Illusoria, Dipendente e Perfettamente Realizzata

Nel testo Madhyānta-vibhāga-kārikā (Versi sulla Differenziazione del Mezzo e degli Estremi), attribuito a Maitreya o Asanga, la realtà viene descritta attraverso tre “nature” che ne svelano i diversi livelli di comprensione.

  1. Natura immaginaria (parikalpita-svabhāva): Questo livello rappresenta le percezioni illusorie, che derivano da un pensiero dualistico. Il pensiero dualistico si manifesta nella distinzione tra soggetto e oggetto, che porta a credere che le cose abbiano un’esistenza autonoma e immutabile. La convinzione in un sé permanente è una manifestazione tipica di questa natura immaginaria.

  2. Natura dipendente (paratantra-svabhāva): Questo livello rivela come i fenomeni siano interconnessi e dipendano da specifiche cause e condizioni. Nulla esiste di per sé o indipendentemente; ogni cosa sorge in virtù di una rete di causalità. Questa comprensione dissolve l’illusione di un’essenza intrinseca nei fenomeni.

  3. Natura perfettamente realizzata (pariniṣpanna-svabhāva): Questo livello rappresenta la visione ultima della realtà, che riconosce la vacuità (śūnyatā), ossia l’assenza di una natura intrinseca. Comprendere questa vacuità non significa negare la realtà fenomenica, ma coglierla nella sua vera essenza, libera da ogni proiezione illusoria.

La distinzione tra queste tre nature è fondamentale per comprendere come il pensiero buddista affronti la radice della sofferenza. La natura immaginaria corrisponde al modo in cui solitamente percepiamo il mondo, attraverso un filtro di credenze erronee. La natura dipendente rappresenta un passo verso una comprensione più profonda, che riconosce l’interdipendenza di tutti i fenomeni. Infine, la natura perfettamente realizzata è il culmine di questa comprensione, dove la mente è liberata dalle illusioni e dalla sofferenza.

9.3 L’Illusione del Sé e la Compassione

L’idea del sé come entità permanente e stabile è una distorsione cognitiva profondamente radicata. Tuttavia, il buddismo non promuove un nichilismo che neghi completamente l’esistenza del sé. Invece, propone una visione alternativa: il sé non ha un’esistenza intrinseca, ma esiste in quanto parte di una realtà più ampia e interconnessa. Gli esseri umani sono agenti responsabili, ma questa responsabilità non deriva da un’identità autonoma e isolata, bensì dal loro ruolo all’interno di una rete di relazioni causali e contingenti.

Questa prospettiva ha implicazioni significative per la pratica della compassione. Nel Bodhicaryāvatāra di Śāntideva, l’assenza di una separazione netta tra gli esseri — la loro mancanza di natura intrinseca — è la base della Grande Compassione. Gli esseri, essendo condizionati (saṃskāra), esistono come parti interdipendenti di un tutto. Questa visione relazionale del sé sostiene l’idea che “il tuo dolore è anche il mio dolore”. La compassione nasce non da un senso di superiorità o altruismo, ma dalla comprensione diretta dell’interconnessione tra tutti gli esseri.

Per raggiungere la liberazione, il buddismo sottolinea l’importanza di sviluppare due forme di consapevolezza trascendente:

  1. L’inconsistenza della persona (pudgalanairātmyam): Comprendere che il sé personale non ha una natura intrinseca.
  2. L’inconsistenza degli enti extra-personali (dharmanairātmyam): Realizzare che anche i fenomeni esterni sono privi di una natura intrinseca.

Questa comprensione trascende le distinzioni convenzionali e prepara la mente a una visione non dualistica della realtà.

9.4 Pensiero Non Dualistico e la Via di Mezzo

La dottrina Madhyamaka, sviluppata da Nāgārjuna, associa la vacuità (śūnyatā) al principio della co-originazione dipendente (pratītyasamutpāda). Questa visione elimina i dualismi, rivelando che ogni cosa esiste solo in relazione a qualcos’altro. Superare l’illusione del pensiero dualistico non significa annullare le differenze, ma riconoscerle come parte di un tutto interconnesso.

Il pensiero non dualistico (advayajñāna) si riferisce a una conoscenza che trascende la distinzione tra soggetto e oggetto, caratteristica degli stati di coscienza convenzionali. Questa conoscenza non richiede un oggetto della consapevolezza, ma rimane presente e integra, libera da ogni dicotomia.

9.5 Vimalakīrti e la Non Dualità

Il Vimalakīrti Sūtra esplora la conoscenza non duale attraverso la figura di Vimalakīrti, un bodhisattva che incarna la pratica e l’insight non dualistico. Il Sūtra presenta Vimalakīrti come colui che riconcilia le dualità senza cancellarle. Egli vede chiaramente le differenze nel mondo — tra ricchi e poveri, tra chi soffre e chi no — ma opera per superarle attraverso una comprensione profonda e compassionevole.

La Saggezza di Vimalakīrti

Un capitolo centrale del Sūtra è dedicato alla domanda: “Cos’è la non dualità?”. I bodhisattva presenti offrono risposte che evidenziano come trascendere le dicotomie sia la chiave per comprendere la realtà:

  • “Quando ‘io’ e ‘mio’ scompaiono, questa è non dualità.”
  • “Quando si va oltre il virtuoso e il non virtuoso, questa è non dualità.”
  • “Superare il desiderio di liberazione e l’avversione per il saṃsāra è non dualità.”

Alla fine, Vimalakīrti risponde con il silenzio. Questo fragoroso silenzio rappresenta una delle espressioni più potenti della non dualità nella storia del buddismo. Esso non è un rifiuto della parola, ma un modo per trascendere il dualismo tra linguaggio e silenzio. La comprensione della loro uguaglianza è l’essenza della non dualità.

9.6 Il Sutra del Cuore: Vuoto, Non Dualità e Compassione

Il Sutra del Cuore (Prajñāpāramitā Hṛdaya) è uno dei testi più celebri e concisi della tradizione Mahayana, parte del vasto corpus dei Prajñāpāramita Sūtra (Sutra della Perfezione della Saggezza). Con appena 260 caratteri in cinese, questo testo sintetizza l’essenza della filosofia della vacuità (śūnyatā) e della non dualità, rendendolo un pilastro centrale nella pratica meditativa e rituale del buddismo tibetano, giapponese, cinese e coreano. La sua brevità non ne sminuisce la profondità: ogni riga dissolve le illusioni cognitive che alimentano la sofferenza, guidando l’aspirante verso una visione interconnessa e compassionevole della realtà.

Vuoto e Aggregati

Il nucleo del Sutra del Cuore si concentra sulla natura vuota (śūnya) degli skandha (aggregati), i cinque componenti dell’esperienza umana: forma (rūpa), sensazione (vedanā), percezione (saññā), formazioni mentali (saṅkhāra) e coscienza (viññāṇa). La frase iconica “La forma è vuoto, il vuoto è forma” (in sanscrito: rūpaṃ śūnyatā, śūnyatāiva rūpaṃ) esprime un’equivalenza dinamica tra il fenomenico e l’ultimale, sfidando la dualità tra esistenza e non esistenza. Gli aggregati, pur manifestandosi attraverso condizioni contingenti (paratantra-svabhāva), non possiedono un’essenza intrinseca (svabhāva), né esistono come entità separate (parikalpita-svabhāva). Questa realizzazione dissolve l’illusione del sé permanente, allineandosi con il concetto di pudgalanairātmya (non sé) e dharmanairātmya (non-essenza dei fenomeni) già discussi.

9.7 Non Dualità e Superamento dei Dualismi

Nel Sutra del Cuore ogni elemento dell’esistenza viene decostruito:

  • “La forma è vuoto, il vuoto è forma”
  • “La sensazione è vuoto… La coscienza è vuoto”

Questa struttura non nega la realtà convenzionale, ma rivela la sua natura dipendente e priva di sostanza. La non dualità qui non annulla le differenze, bensì le integra in una visione olistica, dove soggetto e oggetto, esistenza e non esistenza, si fondono nell’esperienza diretta della pariniṣpanna-svabhāva (natura perfettamente realizzata). Come nel Vimalakīrti Sūtra, il linguaggio diventa uno strumento per trascendere se stesso: le parole del Sutra del Cuore preparano la mente al silenzio contemplativo, dove la dualità tra pensiero e realtà si dissolve.

Compassione e Interdipendenza

La comprensione della vacuità non è un esercizio astratto, ma un risveglio emotivo. Se tutti i fenomeni sono interdipendenti e privi di sé, il dolore altrui non è separato dal proprio. Questa intuizione è il fondamento della Grande Compassione (mahākaruṇā), che scorre libera quando cessa la proiezione dell’“altro”. Il Sutra del Cuore non menziona esplicitamente la compassione, ma la sua logica implica che liberare se stessi dalla sofferenza richiede la liberazione di tutti gli esseri, in quanto parte di un’unica rete di causalità. La vacuità, dunque, non è un concetto filosofico, ma un invito all’azione compassionevole.

Mantra e Meditazione

La sezione finale del Sutra del Cuore introduce un mantra: “Gate Gate Pāragate Pārasaṃgate Bodhi Svāhā” (“Andato, andato, andato al di là, completamente al di là, Risveglio, così sia”). Questo mantra simboleggia il passaggio dalla confusione alla liberazione. La meditazione su queste parole trasforma l’intelletto in esperienza diretta. La pratica quotidiana del Sutra del Cuore—recitandolo, meditandoci sopra o semplicemente osservandone il significato—affina la consapevolezza non dualistica, integrando saggezza (prajñā) e compassione (karuṇā).

Connessione con il Vimalakīrti Sūtra

Mentre il Vimalakīrti Sūtra esplora la non dualità attraverso il dialogo e il silenzio, il Sutra del Cuore lo fa attraverso la distillazione estrema del linguaggio. Entrambi rifiutano di ridurre la realtà a concetti fissi, preferendo metodi complementari: Vimalakīrti usa il silenzio per trascendere il linguaggio, il Sutra del Cuore usa il mantra per trascendere il pensiero. La loro convergenza rivela che la non dualità non è un dogma, ma una pratica vivente.

9.8 Considerazioni Finali

Il Vimalakīrti Sūtra ci ricorda che il silenzio non è contrapposto al linguaggio del Dharma, ma ne è parte integrante. La meditazione è uno strumento fondamentale per sviluppare la consapevolezza non dualistica, dissolvendo la distinzione tra soggetto e oggetto. Attraverso questa pratica, il sé viene de-costruito, permettendo l’emergere di una visione più chiara e integrata della realtà.

Il silenzio di Vimalakīrti, lungi dall’essere un semplice rifiuto della parola, ci insegna che la non dualità non può essere confinata in concetti o espressioni discorsive. Essa emerge dal riconoscimento dell’interconnessione di tutte le cose e dall’equilibrio tra parola e intuizione diretta. Come sottolinea Dale S. Wright, la non dualità implica il riconoscimento delle nostre connessioni illimitate con il tutto, un insegnamento che ci invita a vivere con gratitudine, compassione e insight.

Il Sutra del Cuore è un ponte tra teoria e pratica, tra filosofia e vita quotidiana. La sua potenza risiede nella capacità di sintetizzare l’insegnamento del Buddha in poche righe, offrendo uno strumento accessibile per dissolvere l’illusione del sé e coltivare la compassione. Come il silenzio di Vimalakīrti, il Sutra del Cuore ci invita a guardare oltre le apparenze, riconoscendo che la realtà è un flusso dinamico di interconnessioni. In questo flusso, ogni atto di gentilezza, ogni momento di consapevolezza, diventa un passo verso la liberazione non solo per sé, ma per tutti gli esseri.

Nota

Il testo “The Heart of the Perfection of Wisdom, the Blessed Mother”, il più famoso dei testi brevi della letteratura dei Prajñāpāramitā Sūtra, è disponibile per la consultazione integrale online sulla pagina web Bhagavatī­prajñā­pāramitā­hṛdaya, parte del progetto 84000 dedicato alla traduzione dell’intera collezione del canone tibetano in inglese.

Bibliografia