4 Sistematizzazioni Mahāyāna
4.1 La Compassione come Cuore del Percorso Spirituale
Nel Buddhismo Mahāyāna, la karuṇā (compassione) non è solo una virtù morale o un’emozione, ma la forza motrice del percorso spirituale del bodhisattva. Questa figura, tradotta come “essere risvegliato” o “colui che cerca l’illuminazione per il bene di tutti”, incarna l’ideale supremo dell’altruismo universale. A differenza delle altre tradizioni buddhiste, il Mahāyāna enfatizza la scelta del bodhisattva di rimandare la propria liberazione dal saṃsāra (ciclo delle rinascite) per alleviare la sofferenza di tutti gli esseri senzienti (sattva). Questo impegno richiede una trasformazione radicale del sé, guidata dalla karuṇā e sostenuta dalla prajñā (saggezza), che permette di agire senza attaccamento o ego-centrismo.
Per comprendere appieno il ruolo della compassione nel Mahāyāna, possiamo analizzarla attraverso tre domande fondamentali:
- Qual è l’origine della compassione?
- Come si sviluppa nel percorso spirituale?
- Qual è il risultato finale che essa mira a realizzare?
Queste domande fungeranno da guida per esplorare le diverse scuole filosofiche del Mahāyāna, evidenziando convergenze e divergenze teoriche.
4.2 1. Origine della Compassione
Tathāgatagarbha: La Compassione Come Potenziale Inerente
Nella dottrina del Tathāgatagarbha (letteralmente “embrione del Buddha”), esposta nel Tathāgatagarbha Sūtra, la compassione è vista come una qualità intrinseca alla natura della mente. Ogni essere senziente possiede un “nucleo di Buddha” (Tathāgatagarbha), un potenziale illuminato che include la karuṇā come aspetto fondamentale. Questa visione sostiene che la compassione non sia un’acquisizione esterna, ma una realtà nascosta sotto gli strati di ignoranza (avidyā) e attaccamento. Il percorso spirituale diventa così un processo di “purificazione” della mente per rivelare questa compassione innata.
Yogācāra: Le Famiglie Spirituali (Gotra) e la Predisposizione alla Compassione
La scuola Yogācāra introduce la teoria dei gotra (famiglie spirituali), che classifica gli individui in base alla loro inclinazione naturale verso l’illuminazione e la compassione. Tra le cinque categorie, solo i bodhisattva possiedono una predisposizione (gotra) specifica per la mahākaruṇā (grande compassione), che si manifesta pienamente attraverso la pratica meditativa. Per Yogācāra, la compassione universale è parzialmente innata e richiede un allenamento sistematico per espandersi oltre i limiti dell’ego.
Madhyamaka: Compassione Acquisita Attraverso il Bodhicitta
Contrariamente a Yogācāra, la scuola Madhyamaka, fondata da Nāgārjuna, nega l’esistenza di una predisposizione innata specifica alla compassione. Per Madhyamaka, la karuṇā emerge non da un gotra, ma da un impegno volontario e intenzionale (bodhicitta), ovvero la determinazione a raggiungere l’illuminazione per il bene di tutti. La compassione perfetta (mahākaruṇā) è quindi una qualità coltivata attraverso la pratica e la comprensione della śūnyatā (vacuità), che dissolve i confini tra sé e altro.
Convergenza e Divergenza
Mentre Yogācāra enfatizza la natura innata della compassione, Madhyamaka la vede come un risultato della volontà e della pratica. Tuttavia, entrambe le scuole concordano sul fatto che la karuṇā richieda una trasformazione del sé per superare l’illusione dell’io separato (anātman).
4.3 2. Coltivazione della Compassione
Indipendentemente dalle divergenze teoriche, il Mahāyāna concorda sul fatto che la compassione debba essere coltivata attraverso un percorso graduale. Questo processo implica tre fasi principali:
Fase 1: Sviluppo dell’Empatia Attiva
La pratica iniziale prevede l’addestramento a riconoscere la sofferenza (duḥkha) degli altri, partendo dall’empatia per sé stessi e allargandola progressivamente agli altri. Tecniche come la mettā bhāvanā (coltivazione dell’amore benevolo) e il lojong tibetano (addestramento mentale) aiutano a dissolvere l’ego-centrismo e a sviluppare un senso di responsabilità universale.
Fase 2: Rimozione degli Ostacoli Mentali
La compassione spontanea è spesso ostacolata da emozioni negative come l’aggressività, l’indifferenza e l’attaccamento. Le pratiche meditative mirano a purificare la mente da questi “veli” (āvaraṇa), utilizzando tecniche di introspezione e consapevolezza.
Fase 3: Integrazione con la Saggezza (Prajñā)
La compassione senza prajñā rischia di cadere nell’attaccamento o nell’angoscia empatica. La saggezza, fondata sulla comprensione della śūnyatā e della pratītyasamutpāda (origine condizionata), permette di agire con compassione senza identificarsi con il ruolo di “salvatore”. Come nota Garfield, la karuṇā è “cura compassionevole” solo quando è libera da dualità soggetto/oggetto (Garfield, 2022).
4.4 3. Perfettibilità della Compassione
La mahākaruṇā rappresenta il culmine del percorso del bodhisattva, una compassione universale che trascende ogni forma di discriminazione. Questa forma di compassione si distingue per tre caratteristiche:
- Imparzialità: Non privilegia alcun essere, ma si estende a tutti gli esseri senzienti senza eccezioni.
- Equanimità: Non è condizionata da attaccamento o desiderio di ricompensa.
- Universalità: Si basa sulla consapevolezza dell’interdipendenza (pratītyasamutpāda), dove la liberazione di uno è inseparabile da quella di tutti.
Per Yogācāra, la mahākaruṇā emerge naturalmente quando il gotra del bodhisattva si manifesta pienamente. Per Madhyamaka, invece, essa richiede un lavoro costante per dissolvere le illusioni cognitive e allineare l’azione con la visione della vacuità.
4.5 Considerazioni Finali
L’analisi delle scuole Mahāyāna rivela una tensione tra due prospettive:
- Yogācāra vede la compassione come una qualità innata, supportata dalla predisposizione spirituale (gotra);
- Madhyamaka la considera un risultato della volontà e della pratica, fondata sulla prajñā.
Nonostante queste differenze, entrambe le scuole concordano sul fatto che la karuṇā sia il cuore del percorso del bodhisattva. Che sia rivelata o coltivata, la compassione rappresenta l’ideale supremo di un’etica altruistica e interdipendente, dove la liberazione personale e collettiva si fondono in un unico impegno trasformativo.
Come suggerisce Garfield, la sintesi tra queste prospettive offre una visione della compassione che va oltre il dualismo tra “natura” e “cultura”, proponendo un modello dinamico dove l’innatezza e la pratica si integrano nel cammino verso l’illuminazione (Garfield et al., 2025).