2 Incontri tra Culture
Compassione nel Buddhismo e nel Contesto Secolare
La compassione (karuṇā) è un concetto centrale sia nelle tradizioni contemplative che nella ricerca scientifica moderna. Tuttavia, il modo in cui essa viene concepita e praticata varia significativamente tra le diverse culture e scuole di pensiero. In questo capitolo, esploreremo due prospettive principali: quella neuroscientifica e secolare, che interpreta la compassione come un insieme di processi cognitivi ed emotivi, e quella buddhista Mahāyāna, che la considera una qualità trasformativa, inseparabile dalla saggezza (prajñā). Attraverso l’analisi della “Pattern Theory of Compassion” e delle concezioni filosofiche e psicologiche della compassione, evidenzieremo il ruolo dell’etimologia, delle pratiche meditative e delle implicazioni etiche di ciascun approccio.
Etimologia e Interpretazione
Il termine “compassione” ha origini diverse nella tradizione occidentale e nel Buddhismo Mahāyāna, con implicazioni significative per la sua comprensione e applicazione.
In latino, “compassione” deriva da compassio, che significa “soffrire insieme” (cum = insieme, pati = soffrire). Questa etimologia enfatizza la condivisione del dolore e una forma di empatia passiva, influenzata dalla tradizione cristiana, che ha posto l’accento sulla partecipazione alla sofferenza altrui come atto di amore e solidarietà. Tuttavia, questo approccio rischia di condurre a una sovrapposizione tra compassione e angoscia empatica, generando una difficoltà nel mantenere il necessario distacco emotivo.
Nel Buddhismo Mahāyāna, il termine sanscrito corrispondente è karuṇā, che non implica soltanto la comprensione della sofferenza altrui, ma soprattutto un impegno attivo per alleviarla. Karuṇā è inscindibile dalla saggezza (prajñā), che assicura un’azione efficace e non condizionata dall’attaccamento emotivo.
A differenza della compassio occidentale, che può favorire un coinvolgimento emotivo intenso e potenzialmente paralizzante, karuṇā è funzionale alla liberazione dalla sofferenza (mokṣa), sia propria che altrui, e si manifesta attraverso azioni consapevoli e trasformative.
Un’altra differenza fondamentale è che karuṇā è una qualità imprescindibile del bodhisattva, colui che sceglie di rimanere nel ciclo delle rinascite per aiutare gli esseri senzienti. In questo contesto, la compassione non è solo un’emozione o un atteggiamento morale, ma un aspetto motivazionale che guida l’intero percorso di pratica etica e meditativa.
Queste distinzioni suggeriscono due approcci differenti alla compassione: l’Occidente tende a sottolineare l’identificazione con il dolore altrui, mentre il Buddhismo Mahāyāna enfatizza la responsabilità attiva nella trasformazione della sofferenza in saggezza e liberazione.
La Teoria dei Pattern della Compassione
Recentemente, il concetto di compassione è stato approfondito nell’ambito delle neuroscienze cognitive attraverso la “Pattern Theory of Compassion”, proposta da Gallagher et al. (2024). Questo approccio distingue nettamente la compassione dall’empatia e dalla simpatia, ponendo l’accento su una rete dinamica di processi fisiologici, cognitivi e motivazionali.
Secondo Gallagher et al., la compassione non è semplicemente un’emozione, bensì un modello complesso di processi interconnessi, che include:
- Processi fisiologici, tra cui l’attivazione del sistema nervoso parasimpatico e il rilascio di ossitocina;
- Motivazione all’azione, che distingue la compassione dall’empatia passiva;
- Regolazione emotiva, necessaria per evitare il distress empatico e favorire un equilibrio affettivo;
- Cognizione e valutazione, che implica la consapevolezza della sofferenza altrui e delle risorse disponibili per alleviarla.
Questi aspetti riflettono un modello interattivo e dinamico, dove la compassione si manifesta non come un semplice stato affettivo, ma come una predisposizione attiva verso il benessere altrui. Questa proposta molto recente si avvicina per diversi aspetti al significato originario Mahāyāna.
Compassione nel Buddhismo Mahāyāna
Nel Buddhismo Mahāyāna, la compassione (karuṇā) è considerata una delle qualità fondamentali del bodhisattva, colui che sceglie di rinviare la propria illuminazione per alleviare la sofferenza degli esseri senzienti. A differenza delle concezioni occidentali, la compassione buddhista non si limita all’empatia o all’afflizione per la sofferenza altrui, ma è sostenuta dalla saggezza (prajñā), che ne garantisce un’azione efficace e non condizionata dall’attaccamento emotivo.
Questa visione si differenzia dalla teoria dei pattern nella misura in cui considera la compassione non solo come una risposta a un evento, ma come un principio di trasformazione personale e universale, orientato alla liberazione dalla sofferenza (mokṣa).
Differenze tra la Pattern Theory e il Buddhismo Mahāyāna
Un elemento chiave che distingue la prospettiva neuroscientifica dalla tradizione Mahāyāna è l’importanza attribuita alla saggezza. Nella visione buddhista, la compassione senza saggezza rischia di essere inefficace o di generare attaccamento emotivo. La Pattern Theory enfatizza l’importanza della regolazione emotiva come meccanismo per evitare il distress empatico, senza tuttavia collegare direttamente la compassione a una comprensione profonda della realtà ultima (paramārtha-satya).
Inoltre, mentre la compassione nella Pattern Theory è descritta attraverso componenti misurabili, nel Mahāyāna essa assume una dimensione soteriologica che si sviluppa attraverso pratiche meditative e l’impegno (bodhicitta) nel sentiero del bodhisattva.
Convergenze e Complementarietà
Nonostante queste differenze, vi sono punti di convergenza. Entrambe le prospettive riconoscono che la compassione implica più di una semplice risposta emotiva e che essa può essere coltivata attraverso pratiche specifiche. La meditazione sulla compassione, ad esempio, ha dimostrato effetti misurabili sia nella regolazione emotiva che nei circuiti neurali associati all’empatia e alla motivazione prosociale.
Livelli di Compassione nel Buddhismo Mahāyāna
Nel Buddhismo Mahāyāna, la compassione si sviluppa su tre livelli progressivi:
- Compassione per gli esseri senzienti (sattvālambana karuṇā) – una risposta empatica alla sofferenza altrui.
- Compassione per i fenomeni (dharmālambana karuṇā) – il riconoscimento che la sofferenza è parte dell’impermanenza (anityatā).
- Compassione senza oggetto (anālambana karuṇā) – una compassione universale, non condizionata dall’attaccamento a un soggetto specifico, ma radicata nella saggezza.
L’ultima forma, mahākaruṇā, rappresenta la “grande compassione” del bodhisattva, in cui empatia e saggezza si fondono nel cammino verso l’illuminazione.
Convergenze e Differenze tra il Contesto Buddhista e Secolare
Mentre il Buddhismo Mahāyāna enfatizza l’abnegazione e il superamento dell’ego, il contesto secolare tende a bilanciare la cura di sé e degli altri. Questa differenza riflette due concezioni fondamentali: nel Buddhismo, la compassione è una via di trasformazione radicale del sé, mentre nella psicologia occidentale essa è prevalentemente focalizzata sull’azione sociale e sull’equilibrio emotivo.
Conclusioni
L’analisi delle diverse interpretazioni della compassione nel Buddhismo e nella cultura occidentale mette in luce il contrasto tra una visione trasformativa e una più pragmatica. Mentre il Buddhismo la considera un sentiero verso l’illuminazione e la liberazione dalla sofferenza, la prospettiva occidentale la concepisce come un equilibrio tra empatia e azione.