1 Radici e Differenze
1.1 Introduzione
“Un uccello ha bisogno di due ali: saggezza e compassione.”
(Proverbio tibetano)
La coltivazione della compassione è un tema centrale nelle tradizioni buddhiste e, più recentemente, oggetto di crescente interesse nelle pratiche e ricerche psicologiche contemporanee. La compassione, definita come una consapevolezza profonda della sofferenza altrui (duḥkha, दुःख) accompagnata dal desiderio di alleviarla, è un concetto antico che la tradizione buddhista ha sviluppato in modo sistematico e approfondito, influenzando il pensiero religioso, filosofico e, più di recente, la psicologia moderna.
Questo capitolo esplora le molteplici sfaccettature della compassione e le modalità della sua coltivazione, mettendo a confronto le prospettive buddhiste e quelle contemporanee secolarizzate. Inizieremo con un’analisi della compassione nel buddhismo, con particolare attenzione alla tradizione Mahāyāna e al suo ruolo nella pratica del bodhisattva. Proseguiremo approfondendo i principali metodi di coltivazione della compassione, tra cui la meditazione, la pratica di Tonglen, e la riflessione sulla non-dualità (advaya, अद्वय). Infine, esamineremo il modo in cui la compassione viene reinterpretata nelle pratiche secolarizzate e quali elementi possono essere stati trascurati o trasformati nel processo di adattamento alla contemporaneità.
Il nostro intento non è semplicemente risalire alle radici buddhiste della compassione, ma piuttosto comprendere ciò che le moderne interpretazioni secolarizzate hanno tralasciato. Questo ci permette di cogliere aspetti forse trascurati o ridimensionati nel processo di adattamento alla contemporaneità, con l’obiettivo di ampliare e arricchire sia la comprensione teorica sia la pratica della compassione.
1.2 Karuṇā: la Compassione come Percorso di Trasformazione
Nel buddhismo, il termine sanscrito karuṇā (करुणा) viene tradotto generalmente come “compassione”, ma, come suggerisce Jay L. Garfield in Buddhist Ethics (2022), una traduzione più precisa potrebbe essere “cura”. A differenza di una semplice emozione empatica, karuṇā è un impegno attivo verso l’alleviamento della sofferenza altrui.
“Karuṇā non è un mero sentimento, ma una determinazione ad agire per alleviare la sofferenza degli esseri senzienti.”
Questa distinzione evidenzia che la compassione buddhista è intrinsecamente attiva: essa non si limita alla risonanza emotiva con la sofferenza altrui, ma implica una partecipazione consapevole alla trasformazione del proprio rapporto con il mondo. Nel Mahāyāna, karuṇā e prajñā (प्रज्ञा, saggezza) sono i due pilastri dell’etica e della pratica spirituale.
Karuṇā e l’ideale del Bodhisattva
La tradizione Mahāyāna pone al centro della sua dottrina l’ideale del bodhisattva, ovvero un praticante che, invece di ricercare l’illuminazione solo per sé stesso, si impegna a liberare tutti gli esseri dal ciclo di nascita e morte (saṃsāra, संसार). Questo impegno nasce dalla bodhicitta (बोधिचित्त), la “mente del risveglio”, che unisce il desiderio altruistico di aiutare gli altri alla saggezza che comprende la realtà ultima.
Alla base di questo percorso si trova mahākaruṇā (महाकरुणा), la “grande compassione”, che spinge il bodhisattva a un impegno attivo per il bene di tutti gli esseri. Tuttavia, questa compassione non è fondata su un attaccamento emotivo, ma su una comprensione profonda dell’interdipendenza di tutti i fenomeni (pratītyasamutpāda, प्रतीत्यसमुत्पाद).
Metodi di Coltivazione della Compassione
Il Mahāyāna propone diversi approcci didattici per la coltivazione della compassione:
Metodo Costruttivo: sviluppo di qualità come la gentilezza (maitrī, मैत्री) e la generosità (dāna, दान), per favorire una compassione spontanea e radicata in un atteggiamento di apertura.
Metodo Decostruttivo: dissoluzione delle barriere che impediscono la compassione, tramite la comprensione della vacuità (śūnyatā) e della non-dualità (advaya).
Metodo Cognitivo-Analitico: riflessione sulle cause della sofferenza, ovvero:
- Tṛṣṇā (तृष्णा) – Desiderio insaziabile.
- Upādāna (उपादान) – Attaccamento.
- Avidyā (अविद्या) – Ignoranza della realtà.
- Tṛṣṇā (तृष्णा) – Desiderio insaziabile.
Una pratica fondamentale per la coltivazione della compassione è la meditazione Tonglen (གཏོང་ལེན་, “prendere e dare”), in cui il meditante visualizza l’atto di accogliere la sofferenza altrui durante l’inspirazione e di offrire sollievo e benessere durante l’espirazione.
Questi approcci forniscono un percorso integrato che unisce emozione, saggezza e trasformazione cognitiva, portando a una pratica più profonda e radicata.
1.3 La Compassione e la Vacuità
Śūnyatā: Superamento del Dualismo e Compassione Senza Attaccamento
Nel Mahāyāna, la vacuità (śūnyatā, शून्यता) rappresenta una componente essenziale del percorso spirituale. Il concetto di vacuità (śūnyatā, शून्यता) non indica il “nulla”, ma piuttosto la mancanza di un’esistenza intrinseca (svabhāva, स्वभाव) e indipendente in tutti i fenomeni. Ogni cosa esiste solo in relazione ad altre condizioni, secondo il principio della originazione dipendente (pratītyasamutpāda, प्रतीत्यसमुत्पाद), che descrive l’interconnessione di tutti gli esseri e fenomeni nel ciclo del divenire. Ogni cosa esiste solo in relazione ad altre condizioni: nulla sussiste da sé, nemmeno il sé individuale (anātman, अनात्मन्).
Questa realizzazione ha un impatto diretto sulla compassione: dissolvendo la visione dualistica tra sé e gli altri, permette l’emergere di una compassione più autentica, priva di attaccamenti egoistici. Il bodhisattva, comprendendo che il sé e gli altri non sono entità separate, sviluppa una mahākaruṇā che non è più condizionata dalla paura della perdita o dall’identificazione personale con la sofferenza altrui.
1.4 Buddhismo e Compassione Secolarizzata
Negli ultimi decenni, la compassione è diventata un tema centrale anche nelle pratiche psicologiche e nella mindfulness. Tuttavia, le pratiche secolarizzate differiscono significativamente dall’approccio buddhista:
- Focalizzazione sul benessere individuale: le pratiche moderne enfatizzano il miglioramento del benessere psicologico e delle relazioni interpersonali, mentre nel Mahāyāna la compassione è un mezzo per trascendere la nozione di sé separato e lavorare per la liberazione di tutti gli esseri.
- Mancanza di una dimensione cognitiva profonda: l’approccio secolare si concentra sugli aspetti emotivi della compassione, mentre il buddhismo la integra in una trasformazione cognitiva radicale, basata sulla saggezza (prajñā) e sulla comprensione della vacuità (śūnyatā).
- Assenza del voto del bodhisattva: mentre la tradizione Mahāyāna include un impegno etico e spirituale profondo, le pratiche secolarizzate non implicano necessariamente un voto altruistico o una visione del mondo basata sull’interdipendenza.
Integrare le due prospettive
Pur essendo strumenti preziosi, le pratiche secolari possono trarre beneficio dalla comprensione buddhista della compassione come processo di trasformazione della consapevolezza. Unire la prospettiva Mahāyāna alla pratica contemporanea permetterebbe di ampliare l’approccio alla compassione, non solo come risposta emotiva, ma come un percorso di trasformazione della visione della realtà e della connessione con gli altri esseri.
In definitiva, sebbene le pratiche secolari e quelle buddhiste condividano l’obiettivo di promuovere la compassione, differiscono nei mezzi e nelle finalità. Mentre la compassione secolare si concentra sugli aspetti emotivi e comportamentali, il buddhismo offre un percorso cognitivo e spirituale che porta a una nuova comprensione della realtà.
L’integrazione di saggezza (prajñā) e compassione (karuṇā) nella tradizione Mahāyāna crea una compassione che non solo risponde alla sofferenza, ma conduce a una visione radicalmente trasformata della propria connessione con il mondo e con tutti gli esseri.