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6 Dalla descrizione alla spiegazione
“We know from first principles that no causal query can be answered from data alone, without causal information that lies outside the data. No causes in – no causes out.”
— Judea Pearl, Can DAGs do the un-doable? (2018)
6.1 Introduzione
Per comprendere e spiegare i processi mentali in modo più rigoroso, è necessario adottare modelli che vadano oltre la semplice descrizione. Questo capitolo introduce i modelli meccanicistici e computazionali, mostrando come possano rafforzare la spiegazione psicologica. Negli ultimi anni, la psicologia ha attraversato una crisi profonda legata alla riproducibilità dei risultati sperimentali. Molti effetti classici non riescono a replicarsi in studi successivi, sollevando interrogativi sulla solidità delle teorie psicologiche. In questo contesto, è sempre più chiaro che il tipo di modelli utilizzati per spiegare i fenomeni psicologici ha un impatto cruciale sulla credibilità e robustezza della ricerca scientifica. Una distinzione centrale a questo riguardo è quella tra modelli fenomenologici e modelli meccanicistici.
Panoramica del capitolo
- Il ruolo dei modelli computazionali nella psicologia scientifica.
- La struttura e la logica di due modelli fondamentali — il modello di Rescorla-Wagner (per l’apprendimento associativo) e il Drift Diffusion Model (per le decisioni sotto incertezza).
6.1.1 Modelli fenomenologici: descrivere senza spiegare
I modelli fenomenologici si limitano a descrivere relazioni osservabili tra variabili psicologiche, spesso attraverso formule matematiche o rappresentazioni statistiche. Un esempio classico è una legge psicofisica che descrive la relazione tra stimolazione sensoriale e risposta percepita. Sebbene questi modelli possano essere estremamente predittivi, non forniscono informazioni sul “come” e “perché” un certo fenomeno si verifica. Non specificano, cioè, le entità e le attività organizzate che lo generano (es. meccanismi cognitivi, neuroni, moduli funzionali).
Come sottolineato da Povich (2025), modelli fenomenologici come questi possono essere accurati, compatti, persino predittivi — ma non necessariamente esplicativi. In effetti, possono mancare della capacità di rispondere a domande controfattuali del tipo “che cosa succederebbe se…?” e non permettono un controllo diretto sul fenomeno. Questa limitazione si rivela particolarmente problematica in un’epoca in cui la replicabilità richiede non solo constatare un effetto, ma anche comprenderne le condizioni causali e contestuali.
6.1.2 Dai modelli meccanicistici alla modellazione computazionale
Un modello meccanicistico cerca di rappresentare le componenti causali di un fenomeno. Secondo una definizione ampiamente condivisa, un meccanismo è “una collezione organizzata di entità e attività che produce o mantiene un certo fenomeno” (Bechtel, 2009). I modelli meccanicistici hanno l’obiettivo di descrivere questi meccanismi, specificando in che modo le componenti interagiscono per generare il comportamento osservato.
Nel contesto della psicologia, i modelli meccanicistici vanno oltre la descrizione di correlazioni osservabili. Cercano di identificare strutture cognitive, processi neurali o dinamiche corpo-ambiente o interazioni tra livelli (funzionale, computazionale, implementazionale). Un esempio ben noto è il modello della long-term potentiation (LTP) nella memoria, che spiega come variazioni nei recettori NMDA e AMPA e nella concentrazione di ioni calcio e magnesio determinano il rafforzamento sinaptico — un chiaro caso di spiegazione meccanicistica.
Oggi, molti modelli meccanicistici in psicologia sono implementati come modelli computazionali, ovvero rappresentazioni formali che simulano i processi interni ipotizzati. Attraverso la simulazione e la stima dei parametri, questi modelli permettono di inferire il funzionamento dei meccanismi sottostanti a partire dal comportamento osservabile. I modelli computazionali soddisfano i criteri della spiegazione meccanicistica quando forniscono informazioni su entità ipotetiche (come credenze, soglie decisionali, accumulo di evidenza) e sulle loro interazioni causali.
6.1.3 La differenza epistemica: come distinguere spiegazione da predizione
Un punto chiave nella distinzione tra spiegazioni fenomenologiche e meccanicistiche è che solo le seconde soddisfano i criteri di potere esplicativo propriamente detto. Come chiarisce Povich (2025), un modello esplicativo deve permettere di:
- rispondere a domande controfattuali (“che cosa succederebbe se una componente fosse diversa?”);
- fornire la base per manipolare o controllare il fenomeno.
Questi criteri sono cruciali per superare la crisi della replicabilità: sapere che un effetto si verifica in certe condizioni è poco utile se non si capisce perché avviene e quali sono i meccanismi sottostanti che lo rendono stabile o instabile rispetto a cambiamenti contestuali.
6.1.4 Oltre le metafore meccaniche: che cosa rende meccanicistico un modello?
Una fonte comune di confusione riguarda l’idea che un modello, per essere meccanicistico, debba avere necessariamente la forma di una macchina, con entità concrete (es. neuroni, aree cerebrali) e connessioni visibili tra di esse. Ma questa è una semplificazione fuorviante. Ciò che rende un modello meccanicistico non è la sua forma visiva o metaforica, ma la sua capacità di rappresentare l’organizzazione causale del processo che genera un certo comportamento. Un modello può essere espresso con equazioni matematiche, algoritmi, reti neurali, simulazioni, eppure contribuire in modo decisivo a una spiegazione meccanicistica se specifica in che modo le componenti del sistema interagiscono per produrre l’effetto osservato.
Per chiarire questa idea, possiamo richiamare i tre livelli di spiegazione proposti da David Marr (1982), uno dei riferimenti fondamentali nella psicologia cognitiva computazionale:
- Livello computazionale: Cosa fa il sistema e perché (qual è il problema che risolve?).
- Livello algoritmico: Come lo fa? Quali rappresentazioni interne e quali trasformazioni (regole di calcolo) sono coinvolte.
- Livello implementativo: Con quali mezzi fisici è realizzato (per esempio, circuiti neurali).
Questa distinzione aiuta a chiarire che un modello può essere meccanicistico anche se non rappresenta direttamente substrati biologici, purché descriva in modo formale come un sistema risolve un problema e quali regole seguono le sue componenti.
Nel contesto della psicologia, i modelli computazionali che operano al livello algoritmico o computazionale — come il modello di Rescorla-Wagner o il Drift Diffusion Model — sono perfettamente coerenti con un approccio meccanicistico, anche se non rappresentano esplicitamente l’implementazione biologica.
Questi modelli sono “meccanicistici” nel senso che:
- descrivono entità funzionali (es. valore atteso, evidenza accumulata),
- specificano regole di interazione tra queste entità (es. aggiornamento, accumulo, soglie),
- producono il comportamento osservabile come risultato di queste interazioni.
Dunque, ciò che conta non è la forma del modello, ma la funzione esplicativa che svolge all’interno della teoria psicologica. Modelli formulati come sistemi dinamici, modelli bayesiani gerarchici, modelli di reti neurali artificiali o modelli simbolici possono tutti contribuire a spiegazioni meccanicistiche, se mostrano come un certo comportamento emerga da un’organizzazione di componenti in interazione.
6.1.5 Perché i modelli meccanicistici rafforzano la riproducibilità
La crisi della riproducibilità può essere vista come il sintomo di un’eccessiva fiducia in modelli fenomenologici che mancano di profondità esplicativa. I modelli meccanicistici, al contrario:
- esplicitano gli assunti causali e strutturali;
- permettono verifiche controfattuali e manipolazioni;
- chiariscono quando e perché un effetto dovrebbe ripetersi o variare;
- sono meno vulnerabili al cherry picking e agli effetti di contesto non dichiarati;
- i modelli computazionali meccanicistici, come il DDM e il modello di Rescorla-Wagner, consentono di simulare e verificare quantitativamente ipotesi sui meccanismi interni, rendendo più trasparente e replicabile l’inferenza psicologica.
In breve, un modello meccanicistico non si limita a dire che “A predice B”, ma mostra come A produce B, e in quali condizioni questo accade.
Riflessioni conclusive
La crisi di replicabilità che caratterizza la psicologia contemporanea impone un ripensamento metodologico profondo, orientato verso un superamento dei modelli puramente descrittivi a favore di paradigmi meccanicistici e computazionali. A differenza dei primi, questi ultimi non si limitano a prevedere esiti comportamentali, ma mirano a identificare i processi algoritmici e i meccanismi latenti che li generano, trasformando così domande di ricerca generiche in ipotesi formalizzate e rigorosamente verificabili.
L’adozione di un approccio computazionale in psicologia cognitiva consente di ovviare ai limiti intrinseci dell’analisi descrittiva, offrendo un quadro matematico solido per valutare ipotesi sui processi mentali. L’integrazione di modelli di apprendimento e modelli decisionali, in particolare, permette di costruire rappresentazioni unificate e più profonde dei sistemi cognitivi che sottendono il comportamento umano, con ricadute significative sia nella ricerca di base che in ambito applicativo e clinico.
Tale prospettiva si colloca organicamente nel quadro emergente della psichiatria computazionale e della modellazione bayesiana della cognizione, il cui scopo ultimo non è meramente descrittivo, ma inferenziale: individuare quali processi interni risultino più plausibili alla luce dei dati osservati. In questo senso, la formalizzazione computazionale non migliora soltanto il potere esplicativo dei modelli, ma potenzia anche la capacità di inferenza e generalizzazione, due componenti fondamentali per lo sviluppo di una scienza psicologica cumulativa, robusta e realmente replicabile.